
Quando il divo contava più del film e il narcisismo arrogante delle attrici poteva, con grida e svenimenti, stordire anche il più protervo dei grandi produttori, capitava che le scarpe disegnate dal celebre costumista finissero sulla testa dello stesso, lanciate con capricciosa violenza. E non importa se la star doveva essere l’Imperatrice Caterina o la terribile Messalina: le sole scarpe che prediligeva erano quelle che le nascondevano il piedone nerboruto, unico segno, nella sua fragile bellezza, delle sue sane origini campagnole, o che esaltavano le sue leggendarie gambe.
Due erano i tipi di calzatura femminile che Hollywood amava: il classico decolleté a tacco alto, che stava sempre bene e dava una certa distinzione, malgrado la sua improbabilità, anche in scene di vita romantica o di delittuosi inseguimenti: e il sandaletto a strisce sottili (che immancabilmente indossavano Marilyn Monroe e Rita Hayworth, Greta Garbo e Bette Davis), che indicava una maggior predisposizione alla seduzione e andavano bene soprattutto per scene di ballo o grande ricevimento. Raramente le bellissime abbandonavano queste calzature sicure: ma subito, se lo facevano, diventavano memorabili: Greta Garbo, che in “Orchidea Selvaggia” indossava sandaletti di raso ricamato e in “Mata Hari” serpenti di pietra attorno ai piedi e alle gambe nude, moltiplicava il suo fascino osando semplici scarpe da tennis col calzino corto in “La Donna che Ama” e diventava magnifica nella celebre foto di Cecil Beaton coi lunghi piedi (mai lunghi come quelli di Lauren Bacall e di Ingrid Bergman) calzati da piatte galosce di gomma nera.
Altre calzature facevano sognare le spettatrici, che qualche anno dopo le avrebbero conquistate, lanciate dalla moda di massa; i sandali allacciati sino al ginocchio della gitana Carmen, interpretata da Rita Hayworth, gli stivali da cow boy portati con commovente femminilità da Marilyn Monroe in “Niagara”, gli stivali da cavallerizza che subito qualificavano Grace Kelly o altre bionde eleganti e fredde, come ragazze di grande classe e grande ricchezza, i sandali allacciati alla caviglia, segnale di torbida perdizione.
(…) La calzatura è entrata nell’immaginario cinematografico quasi di soppiatto, come elemento minore, e rivelandosi però ben presto in grado di caratterizzare non solo un’epoca ma un personaggio, di costruire un divo, di suscitare negli spettatori il desiderio imitativo, la voglia di esaltarsi portando le stesse scarpe dei suoi idoli.
Era giusto perciò dedicargli una mostra ricca e ironica, in grado di tracciare un fantastico itinerario della storia del cinema e del divismo.
Natalia Aspesi, introduzione al catalogo della Mostra Due passi tra le stelle: 50 anni di Cinema e Teatro raccontati da oltre 200 paia di “scarpe famose”, ideata per l’A.N.C.I. in occasione del MICAM MODACALZATURA
con esposizione delle calzature POMPEI, a Bologna dal 4 al 7 Settembre 1987
Foto di Antonio Guccione