“Se nella storia della moda è quasi impossibile indicare una data precisa per qualsiasi mutamento, la prima collezione dello stilista francese Christian Dior nel 1947 rappresenta l’eccezione. Infatti la nascita del suo New Look nella moda femminile segna un netto passaggio tra due epoche. Quella che si voleva lasciare alle spalle, legata agli schemi del passato e quella ricca di nuove proposte dedicata ad una società appena uscita dagli anni di guerra, desiderosa di rinnovarsi in tutto, soprattutto nel vestire.
![]() |
![]() |
Dior riproponeva alle donne la gonna alla caviglia e la vita sottile stretta nella cintura e con questa immagine di assoluta femminilità dava nuove proporzioni della scarpa in rapporto alla nuova lunghezza degli abiti. Con Dior tornava anche a rivivere l’arte sartoriale che ideava forme diverse, dove armonia stilistica ed esecuzione vennero raggiunte anche grazie all’impiego di materiali e tecnologie inedite. Molti soprattutto i tessuti sintetici (tra questi quelli elasticizzati acquistarono subito popolarità) che, collaudati nei tempi della guerra, avevano raggiunto alti gradi di perfezione. Anche nella calzatura la scoperta di nuovi collanti e tecniche costruttive permisero di elaborare modellerie, tacchi e fondi.
È in quegli anni che si impone il tacco a spillo su di una forma molto sfilata, la scarpa più irrazionale dopo quelle medioevali. Ma è il simbolo dell’eleganza del momento, della Gran Signora degli anni Cinquanta. Dettagli di femminilità prorompente che dopo la severità del periodo di guerra portavano al tramonto del tailleur. Era stato per anni un capo base nel guardaroba della donna. Nato con Coco Chanel attorno al ’20, gli si legava un certo tipo di calzatura sportiva di gusto inglese che divenne anacronistica per chi voleva stare al passo con la moda, ma che continuava ad essere venduta. Seguì un periodo senza scosse, dove convivevano la vecchia tradizione e le nuove aspirazioni.
Nei primi anni Sessanta le forme delle scarpe diventano meno esasperate, i tacchi si ingrossano e le punte si arrotondano.
È attorno alla metà degli anni Sessanta, con l’entrata in scena di Mary Quant, che tutto cambia. Mary Quant è una stilista inglese che ha fatto epoca per la nuova impostazione che ha dato alla moda, dal lato commerciale e da quello dell’immagine. Apre a Londra un negozio singolare, di concezione nuovissima, dove luci e musica diventano una vera attrazione e propone abiti e accessori rivoluzionari.
|
La seguono in molti ed il Paese è alla ribalta della moda internazionale. È una moda che si diffonde immediatamente e sperimenta di tutto. In quel periodo anche la calzature si modificano radicalmente, le forme sfilate vengono abbandonate a favore di una base decisamente larga con la punta molto rotonda e ai tacchi a spillo si sostituiscono sagome tozze che misurano dai 5 agli 8 centimetri. Scarpe folli che volevano essere comode, certo allineate con i tempi.
Dopo la metà degli anni Sessanta il mondo della moda ha un nuovo scossone con la nascita della minigonna che, legata alla rivoluzione femminista diventa un vessillo, nessuna donna vuole rinunciarvi. L’inverno del ’68 porta cappotti lunghi e tacchi più bassi rispetto alle stagioni precedenti anche per permettere di camminare speditamente malgrado l’impedimento di un indumento inadatto alla vita quotidiana dal ritmo veloce. Nascono gli stivali con fibbie e stringhe che arrivano al ginocchio e oltre e compaiono modelli aderenti come calze, elasticizzati, realizzati anche in materiali sintetici.
Sempre in quegli anni si afferma l’unisex e anche gli uomini si fanno crescere i capelli fino alle spalle. Per la sera si propone lo smoking sia per lei che per lui, la donna indossa i pantaloni con calze colorate e scarpe nere maschili e si impone il jeans, denominatore comune per i due sessi. Il successo universale di questo tipo di pantalone impose alla scarpa un nuovo aspetto, quello di un accessorio che oggi ci appare paradossale e mastodontico, con un plateau alto anche 4 centimetri e un tacco smisurato e robusto. Donne e uomini se ne impossessarono per apparire più alti e snelli nei pantaloni aderenti con la gamba a zampa d’elefante. In questi modelli di calzature si possono leggere oggi un’infinità di particolari interessanti ed intelligenti.
All’inizio degli anni Settanta si manifesta la tendenza etnica, quella che impone le frange indiane ed i mocassini, i quadretti ed i fiorellini delle ragazze di campagna con sabot e zoccoloni e che porta in Europa una folla variopinta che veste indifferentemente il caftano africano e la pelliccia della Mongolia, in un’allegra confusione che durerà qualche anno.
|
|
In tutto questo bailamme si avvertì inevitabilmente la necessità di ordine e si tornò a proporre il tailleur classico con scarpe ingentilite e tacco sottile, anche se non proprio a spillo. Non si ebbero più grosse rivoluzioni e le case di moda ripresero i temi base delle loro collezioni, spesso guardando al passato, esattamente come fa oggi la moda, con varianti di proposte dove la scarpa più o meno sportiva e l’altezza del tacco già caratterizzavano l’insieme. Inizia l’epoca in cui moda significa soprattutto marketing e industria e il nome dello stilista funge da talismano, garantisce l’eleganza. E si ripropone il passato visto con gli occhi dell’attualità”.
Testo di Nella Zanotti; tutte le foto delle calzature nelle slides sono di Pier Luigi Omodeo Salè (Pigi)
Estratto dal libro: “CALZATURA, documenti di fotografia dagli anni ’50 agli anni ‘70” (prima edizione: Settembre 1990)
Edizioni S.E.R. Milano in collaborazione con VeroCuoioItaliano
Ricerca Fotografica e Bibliografica a cura di: Barbara Placidi